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All’Ara Pacis di Roma, in mostra il potente linguaggio di Franco Fontana

La fotografia non è ciò che vediamo, è ciò che siamo

E con questo assunto di Franco Fontana potremmo riassumere la sua intera vita nell’arte. 

Uno sguardo unico, un tempo speso a vivere e ad interpretare il reale; una carriera fotografica dove il grande genio e l'uomo si sono abbracciati così tanto fino a diventare un unicum con le immagini regalate al mondo.

L’universo di Franco Fontana è quello del Colore, che diventa soggetto di spaccati di realtà, sempre mutevoli e tutti concentrati sull’ essenza , ed interpretati da un talento artistico raro, come ne esce uno ogni mille anni. 

Fontana non fotografa il paesaggio:  Fontana lo diventa. Non riprende linee, ombre, geometrie, oggetti e persone: Fontana -  sic et sempliciter -   si fonde con ciò che immortala. 

La sua è una Fotografia di Vita, che diventa Fotografia di Pensiero. 

Roma ha aperto al pubblico all' Ara Pacis, lo scorso 13 dicembre, “Retrospective”, la prima grande mostra monografica di Franco Fontana, che resterà aperta fino al 31 agosto 2025.

Il giorno prima dell'opening, in una conferenza di presentazione alla stampa ed in una preview alla mostra, abbiamo incontrato il grande Maestro, alla presenza tra gli altri del curatore della esposizione, Jean-Luc Monterossostorico fondatore e direttore della Maison Européenne de la Photographie a Parigi.



“Retrospective” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con l'organizzazione di Civita Mostre e Musei, Zetema Progetto Cultura e Franco Fontana Studio, oltre che da svariati partners e media partners

Impreziosisce l'esposizione un dettagliato catalogo, curato da Contrasto. 

Un grande ritratto del Maestro a firma Giovanni Gastel troneggia all’ingresso di “Retrospective”: è l’inizio di un viaggio a colori che spazia nel meglio di 60 anni di carriera.

Se mi cercate, mi trovate nelle immagini di questa mostra” – afferma in conferenza stampa il fotografo modenese, nato il 9 dicembre 1933. Le sue parole accompagnano il fardello di un’età che avanza e che rende evidente qualche acciacco per via di una sedia a rotelle che lo trasporta in giro, ma che non piega affatto il suo genio e la sua ironia verso il mondo. Lo si capisce dalla passione con cui parla ad un pubblico attento, che vuole incontrarlo e parlare con lui. Un gesto che il Maestro  apprezza e ricambia a suo modo: concedendo il suo tempo, reso ancora più prezioso dalla veneranda età.



In “Retrospective” troviamo l’Uomo a fianco all’Artista: una sensibilità spiccata, l’attitudine incessante per la curiosità, il desiderio della scoperta e del rinnovamento.

E’ stato un precursore, Franco Fontana, a cui la cronologia artistica sta stretta, perché temi come gli skylines, i paesaggi e l’architettura urbana si continuano a rincorrere. In ogni caso, egli ha rinnovato continuamente il suo lavoro. Dalla diapositiva alla polaroid al digitale, ha seguito gli sviluppi tecnici della fotografia, e non ha mai cessato di sperimentare.

Pensate che nel 2017, quando di anni ne aveva già 84, Franco Fontana ha soggiornato a Cuba con sua figlia Cristina e il regista Marco Benisi. E nel video che è stato realizzato, e che ovviamente non poteva mancare in questa stupenda retrospettiva monografica, il colore come protagonista riporta ancora una volta ad uno stile che si è sempre rinnovato, pur rimanendo fedele a se stesso e all’essenza di ciò che non si vede, ma che il vero Artista riesce a mostrare.

La tecnologia ed il digitale sono sempre stati per Fontana uno strumento utile per sperimentare nuove curiosità e trovare nuove strade. E per reinterpretare,  ad esempio,  immagini  di vecchi paesaggi, aggiungendo colori ed accentuando i contrasti. O aggiungendo personaggi e ricomponendo ombre nelle sue fotografie delle grandi metropoli americane.

In ogni caso, possiamo senza ombra di dubbio affermare che Franco Fontana, sin dall’inizio degli Anni 60, riesce ad imporre una nuova grammatica dell’immagine, attraverso le linee geometriche ed i colori. In carriera, ha sfruttato tutte le possibilità ottiche (inquadrature ardite, profondità campo ridotta, inquadrature dall’alto…)



Per quanto riguarda l’Artista, all’Ara Pacis tutti i  periodi e le fasi di Franco Fontana fotografo sono rappresentati con meticolosa attenzione. Il percorso espositivo si apre con la celebre veduta grandangolare di Praga, famosissima copertina della rivista Time Life e del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine, e con il già citato ritratto di Fontana firmato da  Gastel.

Troviamo i paesaggi naturali che lo hanno reso famoso in tutto il mondo, ma anche la scoperta dell’ombra. Troviamo i paesaggi urbani. Si legge in una delle tante spiegazioni che accompagnano l’esposizione: “A un certo punto della mia vita di fotografo ho capito che non volevo diventare il John Wayne della fotografia a colori, l’attore che sa fare solo il cowboy. Avrei potuto vivere di soli paesaggi, ma avevo paura di diventare l’impiegato di me stesso. Così ho carcato di disintossicarmi dalla ripetizione”. Eccolo qui un altro assunto irrinunciabile del Franco Fontana pensiero : cancellare per eleggere. In ogni situazione, Fontana cerca la significazione, la sintesi delle cose affinché da oggetto diventino soggetto.

Troviamo gli skylines, con i quali Fontana crea un nuovo codice dell’immagine, lasciando pochi elementi essenziali, dove l’orizzonte gioca un ruolo primario, dividendo lo spazio in due parti distinte. Quale è il cielo, e quale il mare? Quale la terra? E’ questo il fascino degli Skylines di Fontana, che saranno i protagonisti di un libro di riferimento pubblicato sia in Italia che in Francia nel 1978 dalle edizioni “Punto e Virgola” e “Contrejour”. E’ uno dei testi fondamentali per la storia della Fotografia a colori, che con lui si riconosce essere una vera e propria espressione artistica, in un mondo fino ad allora dominato dal bianco e nero come unico protagonista degno di lode. 

In “Retrospective” troviamo ovviamente l’America, che Fontana visita in numerosi viaggi dal 1979 al 2008, facendo affiorare da dentro di se’ ciò che vi era seminato da tempo: i paesaggi. Nei paesaggi urbani americani Fontana introduce anche strane scene di strada. Come in una quinta teatrale, affiorano passanti. Spesso sono donne, riprese di spalle. Luci e ombre si contendono lo spazio ed il colore. Si ha un cambiamento dell’immagine, verso uno stile iperrealista, ma che di fatto è quello unico e non facilmente definibile di Fontana, che lascia il suo segno anche nella street photograhy.



Troviamo le immagini che celebrano la Route 66, la mitica e lunghissima strada asfaltata (oltre 3600 km) che, negli Stati Uniti, collega Chicago a Los Angeles, da est a ovest, attraversando ben otto Stati. Fontana ci si confronta nel 2001, scovandovi con umorismo le tracce ancora visibili del sogno americano, ritrovandovi il gusto per i colori primari e la sua attenzione alle incongruenze del paesaggio. Poi replicherà con Compostela e anche con la via Appia che, nel 2003, catturerà in particolar modo la sua attenzione. Sarà l’occasione, nei quasi 500 km della sua lunghezza da Roma fino a Capua, per riscoprire quei paesaggi italiani a lui cari e familiari che hanno costellato tutta la sua opera e per ristabilire con il suo lavoro di fotografo una relazione con un ricco passato all’origine della nostra civiltà. 

Troviamo i temi delle autostrade, degli asfalti e delle automobili. Dal 1971, durante le sue peregrinazioni, fotografa mentre guida, con un lungo tempo di esposizione, e non guarda nell’obiettivo. E dal caso nascono immagini nuove, con linee colorate che formano un nuovo orizzonte tra l’asfalto ed il paesaggio. Poco dopo è l’asfalto ad incuriosirlo, dal 1971 al 2008. Nelle città in cui si trova a passare, Fontana esplora i segni ed i grafismi che trova nella superficie urbana nera e lucida, e tira fuori composizioni dai colori brillanti e pieni di contrasti. Con l’automobile, invece, spesso seminascosta sotto un telone, trova interesse per la sua forma ed il suo design.

Troviamo l’interesse per la Polaroid. Siamo sempre agli inizi del 1972 quando Fontana prova ad immergersi in questo mondo. A Fontana, la Polaroid suggerisce creatività istantanea: graffiando, incollando e trasferendo, vi si tuffa sempre curioso. Sperimenta con i colori, utilizzandone la saturazione, il contrasto e la grana.

Troviamo i nudi (le Polaroid sono da lui utilizzate come appunti visivi durante i suoi reportage) ed una nuova visione attraverso i nudi nelle piscine. Troviamo anche un assaggio delle immagini dei cimitero di Staglieno, tratti dalla serie “Vita Nova”. E poi, nell’ultima sezione della mostra, possiamo anche vedere il Franco Fontana commerciale, su commissione: quello rivolto alla moda e alla pubblicità.

Molti perfino gli aspetti privati in mostra, grazie all’esposizione in vetrine di fotografie personali, vinili, altri oggetti a lui appartenenti.

L’ultimo lavoro pubblicitario in esposizione all’Ara Pacis, commissionato da Sportmax, risale al 2020.

Insomma, una selezione di oltre 200 fotografie in spazi immersivi, tra particolari installazioni e video, che permettono al visitatore di scoprire infinite possibilità ottiche. Non manca nemmeno una riproduzione dello studio di Fontana a Cognento, dove vive. Lo spettatore ha modo di vedere un insieme confuso di materiali: questa immagine un po’ contrasta con il minimalismo delle sue fotografie, ma probabilmente evidenzia la ricchezza della sua curiosità e della ricerca.

Meritoria l’accessibilità della mostra anche ai non vedenti: con la collaborazione di Fabio Fornasari, direttore scientifico presso l’istituto dei ciechi Cavazza di Bologna, è nato il progetto Biblioteca Astratta, un dispositivo di accessibilità sfogliare, smontare e rimontare, per accompagnare vedenti e non vedenti alla scoperta della mostra.

Ci ha colpito una scritta tra le tante della mostra:  “Ogni tanto qualcuno suona alla porta di casa mia e dice: Sto cercando Franco Fontana…”. Vorrei rispondere: “Ah sì, lo sto cercando anch’io”.  Noi in verità lo abbiamo trovato all’Ara Pacis, come ci aveva anticipato lo stesso Fontana in conferenza stampa: non intendiamo solo fisicamente, alla anteprima della esposizione, accompagnato dagli affetti (la inseparabile moglie Uti, e le figlie Cristina e Barbara), ma proprio nella selezione di queste sue intramontabili opere, che lo consegnano ai posteri e all’eternità della storia della Fotografia mondiale.

Ritorna alla mente un concetto del Maestro modenese che ha ripetuto più volte nel corso della sua vita: “Per me la fotografia non è mai stata una professione: è la mia continua realtà, che dona qualità alla mia vita”. I colori esistono, ma è Fontana che li ha interpretati. Ed interpretandoli, li ha vissuti, goduti e fatti godere come nessun altro ha fatto mai.

Non perdete questa mostra.


Lisa Bernardini


Gli scatti in allegato sono una gentile concessione di Giuliana Mariniello

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