Dario Ballantini, livornese, classe 1964, trapiantato a Milano. È uno dei trasformisti più apprezzati del panorama televisivo italiano : Striscia la notizia, il tg satirico di Mediaset che ha un grande successo sin dal 1988, arriva nelle case di tutti, ed indimenticabili sono le sue imitazioni attoriali, come quella dello stilista Valentino, con cui è arrivato al grande pubblico da quando il patron Antonio Ricci lo chiamò in trasmissione. Parliamo del 1993/1994. Ma oltre ad essere un attore di lunga gavetta, Dario è un apprezzato e quotato pittore e scultore. Figlio e nipote d’arte, si diploma nel 1984 conseguendo la maturità artistica. Il suo è un ricco e lungo percorso artistico cominciato 40 anni fa e declinato in diverse forme di espressione: dalla tv, al teatro e all’arte figurativa. Lo incontriamo a Palazzo Grazioli a Roma per una chiacchierata con la nostra testata, in un momento di pausa dagli impegni e anche dagli spettacoli in giro su vari palcoscenici teatrali italiani. Ci focalizziamo principalmente sulla sua attività di pittore.
Le origini livornesi quanto hanno influenzato il suo stile pittorico?
Livorno è terra di pittori e di musicisti: Amedeo Modigliani, Giovanni Fattori e la scuola dei Macchiaioli, Pietro Mascagni…sono nati qui. Nello specifico, io sono stato influenzato sicuramente come primo impatto dall’onda lunga di Modigliani, che è andato oltre la pittura livornese: ha rappresentato un mondo di sperimentazione, coesistendo con il mondo della pittura legata ai macchiaioli. E poi c’è stato il mio insegnante del Liceo Artistico di Livorno che frequentavo, Giancarlo Cocchia, che mi ha positivamente condizionato. Era un pittore espressionista autodidatta, che faceva parte addirittura del movimento dell’ Eaismo (da Era Atomica -ismo), che fu un'avanguardia artistica molto particolare, il cui manifesto venne stilato e firmato nel 1948 a Livorno dal pittore ed ideatore del movimento Voltolino Fontani.
In due parole, in che cosa consisteva questo movimento?
In senso estetico visivo stretto, sia la pittura che la poesia avevano il compito di rappresentare la frammentazione della materia con chiaro riferimento alla sua traumatica scomposizione fisico molecolare, ma dovevano al contempo anche suggerire la irrinunciabile presenza dell'uomo nel suo complesso divenire.
Come descriverebbe il suo stile pittorico?
Mi colloco nel solco dell’espressionismo, ma direi un espressionismo esistenziale. Quasi un esistenzialismo espressivo. Mi affascinano moltissimo gli espressionisti tedeschi, perché’ quei pittori li trovo vicini al mio stile. Le tematiche delle paure mi hanno sempre affascinato. Non quelle sulla guerra come in quel frangente storico, ma mi ha sempre sedotto un tipo di pittura che, anziché’ solo descrivere, sondasse l’inspiegabile profondità dell’essere umano.
Il colore ha un ruolo fondamentale nelle sue opere? Se sì, quale significato attribuisce ai diversi colori?
Non attribuisco un significato particolare ai colori. Per anni ho fatto una pittura tonale, e mi viene molto facile usare il bianco e nero. Quando ho scoperto il colore, l’ho sempre usato con la forza del chiaroscuro. E alla fine è un po’ come se con il colore io disegnassi. Il blu’ scuro, il rosso e i bruni li uso comunque spesso.
Come concilia la sua passione per la pittura con quella per l'imitazione?
Le ho sempre conciliate, fin dall’infanzia, convivendoci tranquillamente : provengo da una famiglia mista, con fallimenti binari. Mi spiego: mio nonno lo possiamo definire un attore fallito, così come mio padre lo era nelle vesti di pittore: non hanno avviato queste rispettive carriere artistiche, che invece io ho intrapreso da subito con scioltezza. Sia la pittura che l’imitazione, poi, riguardano una indagine sull’essere umano. Studio le persone da imitare per lavoro (l’imitazione è tra l’altro anche una attività molto tecnica), e nella pittura, dove riesco ad essere completamente me stesso, sondo l’animo.
La sua arte è un modo per esprimere solo se stesso o ha anche una funzione più sociale?
L’arte, secondo me, ha avuto e può avere una funzione sociale, ma deve innanzitutto colpire lo spirito, non tanto essere descrittiva o didascalica. Il linguaggio universale può pertanto essere anche sociale, ma prima di colpire l’intelletto deve essere come un’onda che tocca l’animo degli uomini.
Come vede il ruolo dell'artista nella società contemporanea?
Penso che debba mantenere alta la fiaccola del mistero dell’ arte, cercando di scoprire il sentimento universale che unisce tutti noi. Pensiamo alla musica, per esempio, che come altre forme non ha bisogno di schieramenti, di cultura forzata, di didascalie.
Pensa che l'arte possa essere un mezzo efficace per fare politica?
Lo è stato, senza dubbio, specialmente nei Paesi che con l’arte hanno fatto propaganda, come in Russia, e che magari hanno anche espresso valori artistici, ma di rimando e non tanto di intenzione. Non concordo che l’arte debba essere utilizzata per dare un indirizzo politico o un altro per una mera questione di “comitato di affari”: l’arte è doveroso che rimanga mezzo utile per far convivere pacificamente le persone.
Cosa pensa dell'arte di strada e della sua capacità di raggiungere un pubblico più ampio?
Credo che sia un buon modo per provocare le coscienze. Ahimè, mi sembra però di notare che oggi, almeno all’ apparenza, somigli tanto ad una protesta dispettosa, incapace di arrivare all’obiettivo. Con tutti i miei limiti, io non riesco a decifrare troppo spesso i graffiti che trovo in giro per il mondo. Non riesco a capire cosa vogliano dire, e li trovo pertanto un segnale di un mero disagio, di una protesta.
La Francia ha una lunga tradizione artistica. Che legame ha lei con questo Paese?
La Francia ha, per la mia storia personale, il valore aggiunto ed il merito di aver dato la notorietà ad Amedeo Modigliani. Addirittura gli ha cambiato il nome, in Modì. E’ in Francia che Modigliani si è fatto notare anche da Picasso stesso. In generale, trovo che la Francia abbia una sensibilità particolare, capace di abbattere le barriere. La reputo una nazione meno chiusa nei propri confini rispetto ad altri luoghi: quando si è trattato di far diventare famoso o rendere onore a qualcuno - italiano o meno – la Francia è riuscita ad agire in tal senso. Mi ricordo quando vi esplose la fama di Paolo Conte, quasi prima lì che in Italia. Sì, in Francia esiste una sensibilità artistica molto spiccata. Racconto un episodio a me molto caro. Avevo 16 anni, e nel 1981 ci portarono con la scuola a vedere la mostra su Modigliani a Parigi. La più grande in assoluto mai realizzata su di lui, ospitata dal Musée d'Art Moderne de la Ville. Poi, ho visitato negli anni gli altri musei più importanti della capitale francese. La Francia è un Paese che affascina.
Come vede il rapporto tra l'arte italiana e quella francese?
Non sono cosi distanti. Io provengo da Livorno, e si sa che gli impressionisti francesi hanno avuto proprio nella mia città il loro contraltare con i macchiaioli livornesi. È bello questo rimando di qualità tra i due Paesi, lo trovo un bel confronto tra “cugini”, entrambi dotati.
In che modo la sua esperienza come trasformista influenza – se influenza - il suo modo di vedere e rappresentare la realtà nella pittura?
Influenza, certamente. Quando da trasformista mi calo nei panni di altri, non lo faccio solo ai fini di una risata da far fare al pubblico. Ho ricevuto in natura una dote: penso e divento qualcun altro da me, e vado ad indagare l’essenza di una metamorfosi. Cambia profondamente lo stato d’animo. Da essere un politico magari aggressivo ad essere un politico quasi dormiente, il modo di porsi varia completamente. Come anche rivestire i panni di un cantante che ovviamente non sono io. Tutto questo mi permette di indagare l’essere umano, e ciò che assimilo nel ruolo di attore e trasformista rimbalza nel pittore. E viceversa. L’arte possiamo considerarla una forma di trasformazione: permette di non stare fermi.
Qual è il suo rapporto con il pubblico?
Un bel rapporto. Cerco di entrarvi in punta di piedi come individuo, perché le mie opere sono abbastanza di impatto, e le persone prima guardano l’opera e poi avvicinano il pittore. Provo ad avere una relazione di ascolto verso il pubblico: io, del resto, già ho parlato attraverso la mia creazione. A quel punto è il pubblico che mi rivela la sua visione della mia pittura, e cosa gli ho trasmesso. Nell’ascolto dei visitatori di una mostra capita che io abbia rivelazioni inaspettate: metto sulla mia tela una sensazione del momento, ma senza studiarla troppo.
Qual è il suo sogno nel cassetto come pittore?
Bella domanda (pausa prolungata). Rimango comunque ancorato al terreno: non mi dispiacerebbe che Roma mi dedicasse uno spazio pubblico. Livorno, Milano e anche Genova e Napoli l’hanno fatto, e dopo 40 anni di attività credo di meritarmelo: ho avuto ed ho tanti estimatori e personaggi di cultura che mi seguono.
C'è un messaggio particolare che è ricorrente più di altri nelle sue opere?
La mancanza di dialogo approfondito tra esseri umani, I miei personaggi nei quadri sembrano solo cercare la condivisione. Sono un po’smarriti.
Se potesse tornare indietro nel tempo, quale consiglio darebbe al giovane artista che è stato?
In primis di non interrompere le mostre, come invece è successo dal 1990 al 2000. Avrei fatto senz’altro più passi avanti come artista se questo non fosse accaduto. Poi, forse consiglierei di stare più attento a non subire le influenze di personaggi vari che ho incrociato sulla mia strada. Sono un animo sensibile, e a volte galleristi, procuratori, critici hanno dato una spallata per far modificare il mio percorso artistico. Avrei dovuto schermarmi un po’di più per mantenere la linea che mi appartiene, che ho ripreso ultimamente e che sorprendentemente rimane sempre quella. I miei quadri si somigliano tutti, anche se sono tutti diversi l’uno dall’altro. Continuerò a fare il mio personale racconto, come un regista gira il suo film, un cantautore canta la sua canzone.
Qual è la cosa che più la appassiona dell'arte?
Al momento in cui termino un quadro, la mia soddisfazione è alle stelle. E ogni volta che succede, è una meraviglia. Quando mi accorgo di aver fatto esattamente qualcosa che abbia una costruzione efficace dell’immagine, quella soddisfazione la ricerco sempre, e di dipingere non smetterei mai.
Progetti futuri come pittore?
Ho ancora in corso fino a gennaio, inaugurata il 21 novembre scorso, una mostra nella suggestiva Suite al 25° piano della Torre Galfa, con vista mozzafiato su Milano. Il titolo: “Aldiqua. Storie dall'alba degli uomini”, curata da Luca Cantore D’Amore. Ad ospitarmi è la Galleria d’Arte Domestica (GAD), format espositivo di Crudemon. Poi sarò a Livorno ad Aprile, con la Cassa di Credito di Castagneto Carducci, a Via Cairoli, in uno spazio espositivo importante. Mi organizzeranno una nuova antologica: una bella soddisfazione.
Concludiamo l’intervista lanciando noi un appello: che si individui presto uno spazio espositivo istituzionale a Roma per celebrare il genio di Dario Ballantini. Un talento unico, capace di regalare esperienze visive intense e significative. Come l’ha definita lo stesso critico d’arte Luca Cantore D’Amore nominato prima, l’arte di Dario Ballantini “non è semplicemente contemporanea; è perenne, atavica, una riflessione profonda sulla condizione umana”.
Lisa Bernardini
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